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Il metodo secondo Open Project

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Una stratificazione di storie (e di storia), pluralità di funzioni, mix sociale, bellezza e partecipazione collettiva al design. Per una contemporaneità generata attraverso la stratificazione Maurizio Piolanti e Francesco Conserva, rispettivamente presidente e vicepresidente, guidano attualmente Open Project, studio di design fondato a Bologna nel 1984 da Silvio Antonio Manfredini e Romano Piolanti, soci fino al 2022. Nel 2024 lo studio ha celebrato i suoi 40 anni di attività con una serie di eventi sul tema dello spazio urbano, il volume monografico “Immaginare, progettare, costruire” (pubblicato da Danilo Montanari Editore) e una nuova sede inaugurata pochi mesi fa a seguito del restauro e della riqualificazione di un edificio storico situato sulle mura della città. Qui, il presidente e il vicepresidente lavorano fianco a fianco nello stesso ufficio per garantire un continuo scambio di idee ed energie. Come spiega Francesco Conserva
in questa intervista, l'idea e il progetto nascono da un metodo consolidato basato su un
approccio collettivo. "Ascoltare è la prima cosa, ascoltare tutti significa incorporare nei nostri progetti un pezzo delle visioni degli altri. Ci piace agire come collante tra parti diverse, partendo senza preconcetti, ascoltando, suggerendo e poi costruendo la nostra idea".

La vostra nuova sede a Bologna è di fatto un ‘progetto totale’, dal restauro architettonico al disegno di alcuni degli arredi.
Esattamente. È anche una sintesi del percorso che abbiamo fatto, e che stiamo facendo, rispetto all’essere e all’apparire, alla sostanza e al risultato estetico. Ci rappresenta in toto perché si tratta di una stratificazione senza retorica di storia, contemporaneità e innovazione, qui si avverte moltissimo il valore della storia e delle tante storie vissute, [da chiesa a locale da ballo a falegnameria, ndr] anche non importanti ma che fanno parte di un palinsesto all’interno del quale adesso ci siamo anche noi. La posizione è emblematica, addossato alle mura della città, un edificio non monumentale con un sito in limine fra centro e fuori centro, un luogo con l’energia dei posti al confine, energia che vorrei portare nei nostri uffici, pensati non solo come luogo per progettare, ma per condividere con la città incontri e nuovi argomenti.

Si progettano spazi, ma un ‘luogo a cui appartenere’ come si crea?
Il senso di appartenenza viene dalla bellezza e dalla storia, che non dobbiamo cancellare. Ma anche attraverso diverse sfaccettature e diversa utenza. Attualmente stiamo assistendo al declino degli edifici monofunzionali totalizzanti derivati da un’impostazione taylorista della città, la città del lavoro, dell’abitare, il centro storico, i centri commerciali, un modello entrato in crisi per lasciare il posto a luoghi contaminati. Occorre fare una riflessione anche dal punto di vista normativo e legislativo per poter incentivare la nascita di luoghi polifunzionali, ibridi e trasformabili, senza obblighi di destinazione d’uso e strettoie burocratiche. Anche un progetto architettonico deve saper adeguarsi alla velocità dei cambiamenti.

Quindi la vera difficoltà del progettare è anticipare.
Esatto. Anticipare di quanto basta affinché il progetto sia contemporaneo nel momento in cui lo si completa. L’idea del contemporaneo per me non è il presente, schiacciato tra passato e futuro, ma abbraccia simultaneamente il passato e quello che ancora deve avvenire, è la somma di tutto. Riuscire a inserire all’interno di una piazza, in luoghi di frontiera, luoghi chiusi o aperti questa idea di comunità e contemporaneità è forse la vera possibilità che abbiamo di creare un luogo. È sempre una questione di rapporto fra spettatore/utente e opera/luogo. Nell’architettura il ruolo di chi vive gli spazi è fondamentale. Noi cerchiamo di essere creativi ma corali in funzione di qualcosa di più grande, non solo individuale.

Per coralità intende che il metodo progettuale nasce da dialogo e confronto?
La prima cosa che facciamo è ascoltare le esigenze del committente. Il passo in più consiste nell’individuare le esigenze che il committente non sa di avere per anticiparlo, suggeriamo quello che resta inespresso. Cerchiamo inoltre di capire l’evoluzione del mercato e di adottare un approccio di coralità. Nasce la necessità di avere diversi collaboratori e partner, ognuno con la propria visione, ad esempio l’Accademia di Belle Arti, sociologi, economisti, artisti. Ci piace agire da collante fra tutte queste parti, compito non facile, partire senza idee preconcette, ascoltare e poi costruire la nostra idea.

Il processo diventa lungo ma funziona proprio perché riuscite a mettere insieme tante voci.
Funziona anche perché abbiamo una struttura adatta a questo processo, fatta da professionisti che lavorano con noi abitualmente, non abbiamo un grande turnover, abbiamo già affinato un metodo e c’è empatia. Siamo un po’ diesel, ma puntiamo sul medio e lungo termine.

Oltre alla coralità, il metodo deve essere abbinato all’idea di creatività.
Quello che facciamo è conciliare la sregolatezza della creatività con l’ordine del metodo, che solo in apparenza soffoca le idee. La mia missione è offrire alle diverse creatività che operano nello studio la possibilità di potersi esprimere e di essere ‘rassicurate’ dal metodo, che serve a portare la creatività all’interno di un alveo tranquillo. Creatività che non solo nella fase di concept, ma anche nella direzione lavori che spesso ha necessità di un metodo innovativo e creativo.

Alla creatività è legato il tema dell’innovazione. Mi sembra di avere visto molta innovazione nel settore dei luoghi di lavoro.
Abbiamo realizzato diversi luoghi di lavoro, con accezioni molto diverse fra loro. Da soggetti che fanno solo consulenza, come la sede di PWC, dove l’ufficio viene utilizzato come piazza interna, elemento di condivisione e relazione con colleghi e clienti, ad aziende come la Bonfiglioli Riduttori con uffici e fabbrica, un luogo dove ancora si produce materialmente, quindi con impostazioni completamente differenti. O ancora gli uffici per la Culligan, da poco inaugurati. Hanno però tutti qualcosa in comune, la comprensione dell’organizzazione del lavoro e il dialogo con le risorse umane per capire come vivono lo spazio, per identificare quali sono le caratteristiche attrattive per le risorse umane. Sono le relazioni e le interferenze con altre persone che attraggono, oltre a uno spazio progettato in modo funzionale alle diverse modalità di utilizzo del luogo di lavoro, spazi privati anche occasionali, e spazi comuni veramente comuni a tutti.

Fra restauro e sostenibilità, la tematica del recupero per voi è molto importante.
Noi diamo il meglio quando abbiamo dei limiti piuttosto che il foglio bianco, siamo molto bravi ad aggiungere un altro pezzo di storia alla storia di un edificio. Approccio che ci ha portato a fare ricerca e sperimentazione sulla convenienza o meno di demolire e costruire con dati concreti. La sostenibilità non la si ha soltanto con il risparmio energetico. Nel recupero degli edifici, ad esempio, occorre chiedersi se la destinazione d’uso di un immobile vincolato sia quella adatta al nuovo utilizzo e a ciò che l’immobile poteva sopportare. Ora stiamo lavorando anche a una struttura dell’inizio degli anni trenta, una ex colonia a Rimini. Nei beni vincolati è difficile trovare un equilibrio economico-finanziario che regga, e anche per questo è meglio utilizzare un mix di funzioni. Quando si parla di sostenibilità si deve avere una visione di più ampio raggio, inserendo anche il valore sociale della sostenibilità.

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